VIterbo – Un’aula del tribunale Paola Conti L’avvocato Franco TaurchiniViterbo – Auto di lusso col trucco, sotto torchio davanti al collegio Dario Gemma De Julio, personaggio chiave della maxinchiesta “Cayenne” del 2009. “Ho detto Banda Bassotti, mica banda della Magliana”, si difende il professionista. A processo 14 imputati, accusati di far parte di un’associazione per delinquere specializzata in truffa & ricettazione. Nel frattempo gran parte dei “reati satellite” sono prescritti, mentre restano in piedi i più gravi: l’associazione per delinquere e il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.Un sodalizio ai cui vertici, secondo il sostituto procuratore Paola Conti, c’erano Paolo Nicolò Nigrì e Dario Gemma De Julio, alla sbarra con moglie e figlio. Entrambi furono arrestati nel blitz assieme a Claudio Pacchiarotti e al concessionario d’auto Antonio Massa. “Sto qui al bar con la Banda Bassotti”, avrebbe detto al telefono Dario Gemma De Jiulio al coimputato Nigrì, mentre si trovava in compagnia di altri indagati. “Una battuta, ho detto Banda Bassotti, mica banda della Magliana”, ha sottolineato il professionista, sentito ieri dal collegio presieduto dalla giudice Silvia Mattei, assistito dall’avvocato Franco Taurchini, che ha sottolineato come non basti una boutade per incriminare qualcuno e come della presunta associazione per delinquere non ci siano prove.Una girandola di auto di lusso: Porsche, Jaguar, Mercedes. “Io non ho fatto nulla – ha detto Dario Gemma De Julio – ho solo fatto delle polizze assicurative temporanee per delle auto di grossa cilindrata che ho avuto il piacere di guidare per un solo mese e poi ho restituito alla concessionaria perché troppo costose da mantenere. L’unico vantaggio è stato averle in uso per un po’”. Contro il professionista punta il dito l’unica presunta vittima che si sia costituita parte civile, Antonio Massa, il titolare di una concessionaria sulla Cassia Nord, ex cliente dello studio, agli arresti per 26 giorni in seguito al blitz. De Julio avrebbe usato i suoi dati per intestargli delle vetture. Una in particolare, poi venduta a Roma. La Porsche Cayenne da cui prende il nome l’operazione, in merito alla quale Gemma De Julio e Pacchiarotti avrebbero fornito versioni contrastanti. “Lei dice una cosa, Pacchiarotti l’esatto opposto”, ha fatto notare all’imputato la pm Conti, anticipando la richiesta di un confronto in aula. Le indagini della squadra mobile sono partite nel 2007, in seguito alle 15 denunce di un ingegnere di Milano, oggi novantenne, cui una finanziaria aveva chiesto 50mila euro per una Porsche e una Mercedes mai comprate, in realtà acquistate presso un autosalone di Viterbo con un documento falso. Secondo l’accusa, avrebbero provato ad acquistare a suo nome perfino uno yacht da 90mila euro. Poi c’è il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il sodalizio, per incrementare i lauti guadagni, avrebbe intestato a prestanome, più o meno consapevoli, diverse società fantasma, tra cui una ditta di catering inesistente, con sede in un bar sulla Teverina, cui sarebbero figurati assunti degli extracomunitari che, pur senza un lavoro, potevano così pagarsi i contributi per restare in Italia in attesa del permesso di soggiorno. “Io mi sono limitato a compilare le domande sul sito del ministero dell’interno per dei parenti di una donna romena che conoscevo, intenzionati a venire a lavorare in Italia. Ma nulla garantiva l’ingresso, infatti restarono a casa loro. C’erano delle possibilità come magazzinieri per un negozio al dettaglio e un ingrosso di casalinghi a Marta e Capodimonte, un lavoro faticoso, da svolgere all’alba e al tramonto, poco gradito agli italiani”, ha concluso l’imputato.Il processo riprenderà il 13 settembre, quando saranno sentiti gli imputati Paolo Nicolò Nigrì e Claudio Pacchiarotti. Silvana CortignaniThe post “Ho detto Banda Bassotti, mica banda della Magliana” appeared first on Tusciaweb.eu.
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