NewTuscia – BOLSENA – Nell’estate del 1958, seguendo le indicazioni di alcuni pescatori che segnalavano nelle acque di fronte alla località Grancaro (al confine tra i comuni di Bolsena e Montefiascone) la presenza di strani resti, Alessandro Fioravanti, Gabriella Carcani e Benito Catalini scoprirono il primo e il più grande dei tumuli ellittici, fatti di pietre informi, sommersi nel lago di Bolsena e tradizionalmente definiti dai pescatori “aiole” (fig. 1).
Negli anni successivi sono stati individuati altri tumuli analoghi, anche questi noti localmente come “aiole”, presso le sponde settentrionali, occidentali e meridionali del lago di Bolsena (fig. 2), tutti sommersi dal progressivo innalzamento del livello lacustre e posti pressappoco tutti alla stessa quota, su fondali intorno a m 300 s.l.m.
L’aiola del Grancaro, situata immediatamente a nord dell’abitato villanoviano del “Gran Carro”, misura m 60×80 e si adagia su un fondale roccioso in leggero pendio verso il largo. L’aiola di monte Senano, sulla sponda gradolese, misura m 30×50 ed è anch’essa in rapporto con i resti di un abitato protostorico (“monte Senano sub”) vissuto durante le fasi più antiche dell’età del Bronzo. L’aiola della Fossetta, presso Capodimonte, è la più piccola, di soli m 16×20, e allo stato attuale delle ricerche non sembra in relazione con resti archeologici di un qualche rilievo. Una quarta aiola è, forse, identificabile nelle acque di fronte alla località del Tempietto, 1 km a ovest di Bolsena, presso la copiosa sorgente di Barano-Lo Schiavo, dove fino a qualche decennio fa fuoriusciva dalle acque un canneto a forma di una perfetta ellissi di m 45×70, in un tratto di fondale coperto da abbondante limo, sotto cui potrebbe celarsi un altro grande tumulo di pietre. Più recentemente sembra che sia stata individuata una quinta aiola presso la sponda lacustre compresa tra Punta San Bernardino e monte Bisenzo ma, allo stato attuale delle ricerche, non è ancora possibile definirne sagoma e dimensioni precise.
Si tratta certamente di strutture artificiali, costruite con pietrame di diversa natura, forma e pezzatura e quelle che è stato possibile studiare hanno tutte rivelato la presenza di sorgenti di gas e di acque termali che sgorgano dalla loro superficie. Per le evidenze archeologiche associate e per i ritrovamenti effettuati al loro interno, appaiono databili tra l’età del Bronzo antico e l’età del Ferro (XVIII-IX secolo a.C.), ma non ne è stata ancora chiarita la funzione. Rimane, comunque, legittimo il sospetto che si sia trattato di strutture appositamente costruite sui tratti di fondale interessati dalla risalita di sorgenti di gas e di acque termali e destinate, quindi, a una qualche forma di sfruttamento di queste emergenze naturali.
Pietro Tamburini
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