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La procura di Viterbo indaga i fratelli Alberto e Stefano Calevi
VITERBO - La procura di Viterbo indaga i fratelli Alberto e Stefano Calevi, titolari di un’azienda agricola F.lli Calevi in zona Castel d’Asso, con l’accusa di sfruttamento del lavoro e intermediazione illecita, per il quale è stato chiesto un rinvio a giudizio. Le paghe irrisorie, i turni massacranti e l’assenza totale di ferie sarebbero al centro della questione.
L’arma dei Carabinieri di Viterbo, delegata dal pm Massimiliano Siddi, ha dato il via all’indagine in seguito alla denuncia partita da due operai. Questa ha messo in evidenza come, nell’arco di 18 mesi, sia stata portata avanti una gestione ritenuta sistematicamente irregolare ed illecita. Oltre un centinaio di braccianti e lavoratori, secondo gli accertamenti, sarebbero stati costretti a turni massacranti di oltre 13 ore con paghe misere, a volte inferiori a cinque euro l’ora, e senza alcun giorno di riposo. Gli inquirenti sostengono che questo trattamento avrebbe violato in maniera sistematica e continuativa le norme stabilite su orari, sicurezza e condizioni di lavoro.
L’udienza preliminare si terrà il 15 gennaio 2026 davanti al gup Fiorella Scarpato, mentre i due imprenditori, rispettivamente di 64 e 58 anni, saranno difesi dagli avvocati Giuliano Migliorati e Agnese Sciullo. Il procedimento penale fa riferimento all’articolo 603-bis del codice penale, che punisce il caporalato e lo sfruttamento del lavoro. I fratelli Calevi vengono accusati infatti di tre capi d’imputazione: non aver garantito salari conformi ai contratti collettivi nazionali e provinciali, di aver violato la normativa sull’orario di lavoro, riposi settimanali e ferie ed infine ignorato le normative riguardanti la sicurezza e l’igiene sul posto di lavoro.
L’azienda agricola in questione, situata in zona Castel d’asso, nei pressi della necropoli etrusca, più precisamente in via Procoio, sarebbe finita al vaglio degli inquirenti tra il gennaio del 2022 e il giugno del 2023. Ad aggravare ulteriormente una situazione già particolarmente degradante, secondo la Procura, 104 lavoratori sarebbero stati impiegati in lavori agricoli gravosi, senza considerare le condizioni nelle quali i braccianti sarebbero stati prima trasferiti nei campi e poi ammassati su rimorchi agricoli utilizzati per il trasporto di ortaggi. L’accusa principale mossa dalla procura ai fratelli Calevi sarebbe quella di “sfruttamento in stato di bisogno”, secondo la quale si sarebbero approfittati delle difficoltà e delle vulnerabilità dei propri dipendenti, molti dei quali extracomunitari.
Il 10 dicembre 2024 il gip aveva disposto il sequestro preventivo dell’azienda, salvo poi modificare il provvedimento. Il 30 gennaio infatti il gip, su richiesta del pubblico ministero Siddi, ha disposto l’ordine di controllo giudiziario dell’azienda come misura alternativa al sequestro della stessa, sostenendo che “l’interruzione dell’attività imprenditoriale può comportare ripercussioni negative sui livelli occupazionali”. La motivazione che ha comportato questa modifica è stata dovuta all’intervento della difesa, che ha evidenziato come, tra l’ultima ispezione datata giugno 2023 e il provvedimento di sequestro, i datori di lavoro sarebbero intervenuti avviato una riorganizzazione interna, con manovre mirate a correggere le irregolarità ed includere tutte le ore lavorate nelle buste paga.
La maggior parte dei braccianti agricoli, classificati come “ex addetti alla raccolta prodotti” secondo la stima avrebbero percepito tra i cinque e i sei euro l’ora, retribuzioni che, secondo l’accusa, sarebbero irregolari ed in netto contrasto con quanto previsto dai contratti collettivi nazionali e provinciali.
Questo episodio ha avuto una risonanza mediatica importante, dalla quale è emerso il tema centrale dello sfruttamento nel settore agricolo che da anni affligge la società ed è considerata una questione sociale irrisolta. Il caso Calevi ha messo in luce le fragilità del sistema agricolo, ponendo l’attenzione sulle difficili condizioni lavorative.
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Chiesto il rinvio a giudizio per i fratelli Calevi per sfruttamento di braccianti
VITERBO - La procura di Viterbo ha chiuso le indagini sui fratelli Alberto e Stefano Calevi, titolari di un’azienda agricola F.lli Calevi in zona Castel d’Asso, con la richiesta di rinvio a giudizio. L'accusa è di sfruttamento del lavoro e intermediazione illecita Le paghe irrisorie, i turni massacranti e l’assenza totale di ferie sarebbero al centro della questione.
I carabinieri di Viterbo, coordinati dal pm Massimiliano Siddi, hanno avviato l'inchiesta in seguito alla denuncia partita da due operai. Le indagini hanno messo in evidenza come, nell’arco di 18 mesi, sia stata portata avanti una gestione ritenuta sistematicamente irregolare ed illecita. Oltre un centinaio di braccianti e lavoratori, secondo gli accertamenti, sarebbero stati costretti a turni massacranti di oltre 13 ore con paghe misere, a volte inferiori a cinque euro l’ora, e senza alcun giorno di riposo. Gli inquirenti sostengono che questo trattamento avrebbe violato in maniera sistematica e continuativa le norme stabilite su orari, sicurezza e condizioni di lavoro.
L’udienza preliminare si terrà il 15 gennaio 2026 davanti al gup Fiorella Scarpato, mentre i due imprenditori, rispettivamente di 64 e 58 anni, saranno difesi dagli avvocati Giuliano Migliorati e Agnese Sciullo. Il procedimento penale fa riferimento all’articolo 603-bis del codice penale, che punisce il caporalato e lo sfruttamento del lavoro. I fratelli Calevi vengono accusati infatti di tre capi d’imputazione: non aver garantito salari conformi ai contratti collettivi nazionali e provinciali, di aver violato la normativa sull’orario di lavoro, riposi settimanali e ferie ed infine ignorato le normative riguardanti la sicurezza e l’igiene sul posto di lavoro.
L’azienda agricola in questione, situata in zona Castel d’asso, nei pressi della necropoli etrusca, più precisamente in via Procoio, sarebbe finita al vaglio degli inquirenti tra il gennaio del 2022 e il giugno del 2023. Ad aggravare ulteriormente una situazione già particolarmente degradante, secondo la Procura, 104 lavoratori sarebbero stati impiegati in lavori agricoli gravosi, senza considerare le condizioni nelle quali i braccianti sarebbero stati prima trasferiti nei campi e poi ammassati su rimorchi agricoli utilizzati per il trasporto di ortaggi. L’accusa principale mossa dalla procura ai fratelli Calevi sarebbe quella di “sfruttamento in stato di bisogno”, secondo la quale si sarebbero approfittati delle difficoltà e delle vulnerabilità dei propri dipendenti, molti dei quali extracomunitari.
Il 10 dicembre 2024 il gip aveva disposto il sequestro preventivo dell’azienda, salvo poi modificare il provvedimento. Il 30 gennaio infatti il gip, su richiesta del pubblico ministero Siddi, ha disposto l’ordine di controllo giudiziario dell’azienda come misura alternativa al sequestro della stessa, sostenendo che “l’interruzione dell’attività imprenditoriale può comportare ripercussioni negative sui livelli occupazionali”. La motivazione che ha comportato questa modifica è stata dovuta all’intervento della difesa, che ha evidenziato come, tra l’ultima ispezione datata giugno 2023 e il provvedimento di sequestro, i datori di lavoro sarebbero intervenuti avviato una riorganizzazione interna, con manovre mirate a correggere le irregolarità ed includere tutte le ore lavorate nelle buste paga.
La maggior parte dei braccianti agricoli, classificati come “ex addetti alla raccolta prodotti” secondo la stima avrebbero percepito tra i cinque e i sei euro l’ora, retribuzioni che, secondo l’accusa, sarebbero irregolari ed in netto contrasto con quanto previsto dai contratti collettivi nazionali e provinciali.
Questo episodio ha avuto una risonanza mediatica importante, dalla quale è emerso il tema centrale dello sfruttamento nel settore agricolo che da anni logora la società ed è considerata una questione sociale irrisolta. Il caso Calevi ha messo in luce le fragilità del sistema agricolo, ponendo l’attenzione sulle difficili condizioni lavorative.
In balia del lago con una bimba di 18 mesi: famiglia salvata dai carabinieri a Capodimonte
BOLSENA - L'amministrazione comunale di Capodimonte desidera esprimere il proprio più sentito ringraziamento all'equipaggio della motovedetta dei Carabinieri in servizio sul lago di Bolsena, per il tempestivo e professionale intervento di salvataggio effettuato nei giorni scorsi nei pressi dell'Isola Bisentina.
Protagonisti dell'episodio una coppia, lei di nazionalità americana, lui belga, insieme alla loro bambina di appena 18 mesi, partiti in canoa da Bolsena con l'intento di raggiungere l'isola. A causa del peggioramento delle condizioni meteo, con vento di tramontana e onde in aumento, la famiglia si è ritrovata impossibilitata a rientrare in sicurezza.
Provvidenziale è stata la segnalazione del custode dell'Isola Bisentina, che ha notato la situazione di difficoltà e ha prontamente allertato i carabinieri della motovedetta di Capodimonte. L'equipaggio, guidato dal comandante dell'unità navale, è intervenuto rapidamente, raggiungendo i tre e conducendoli in salvo, evitando possibili conseguenze più gravi. Fortunatamente, nessuno ha riportato ferite e non si è reso necessario l'intervento sanitario. La famiglia, sebbene spaventata, è tornata a riva in buone condizioni.
«Un sentito plauso ai carabinieri per la professionalità e la prontezza dimostrate – dichiara il sindaco di Capodimonte, Mario Fanelli – La presenza dell'unità navale è garanzia di sicurezza per tutti coloro che vivono e visitano il nostro lago. È grazie a interventi come questo che possiamo sentirci ancora più orgogliosi del lavoro svolto ogni giorno dalle forze dell'ordine sul nostro territorio».
Il Comune si unisce inoltre all'appello dei carabinieri nel raccomandare la massima prudenza durante le escursioni sul lago, in particolare con bambini e mezzi non motorizzati, e ricorda a tutti l'importanza di verificare sempre le condizioni meteo prima di avventurarsi in navigazione.
Canino: traffico nel caos
di D.U.
CANINO - “È un caos totale”, questa la lamentela dei residenti di Canino, in seguito ai lavori che stanno interessando via di Montalto e Largo Bonaparte; i negozianti si trovano senza corrente e la circolazione risulta bloccata a causa di semafori non funzionanti.
La situazione è dunque delicata poichè ci troviamo a ridosso della settimana di Ferragosto e molti turisti sono impossibilitati a fermarsi al bar per via del cantiere presente. E’ l’assessore al turismo Daniele Ricci a fare chiarezza sul fatto “la corrente risulta già ripristinata” e aggiunge “La Castrense è interessata a dei lavori su dei cavidotti che passano per Canino”. Gli impianti fotovoltaici interessano i comuni di Ischia di Castro collegati alla sottostazione di Tuscania, è necessario dunque che questi passino per l’area di Canino. Daniele Ricci aggiunge inoltre che il Comune supervisiona i lavori, l’attenzione è dunque costante e in caso di possibili disservizi/danni, sarà responsabilità della ditta ripristinarli/risarcire i danni.
La responsabile dell’ufficio tecnico Dott.ssa Vacini specifica che “I lavori riguardanti l’area avranno fine all’incirca entro una settimana, massimo dieci giorni”. Questi proseguiranno, ma con cautela per evitare di danneggiare i possibili sottoservizi.